Affrontare un tumore: l'esperienza di Claudia
   
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Affrontare un tumore:
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1. Premesse

Questi scritti non hanno alcuna pretesa scientifica e possono riflettere in parte le convinzioni soggettive, e quindi opinabili, di chi scrive.

Le informazioni e considerazioni che seguono hanno come obiettivo principale di fornire un quadro sintetico delle situazioni e dei problemi che Claudia e con lei i parenti e le altre persone care dovettero affrontare durante anni di una malattia molto grave e di mostrare, nel contempo, come la vita di un malato di cancro e di chi gli è vicino possa essere straordinariamente ricca. A tal fine, come discusso più avanti, è indispensabile che gli individui coinvolti (medici, personale paramedico, persone care, ecc.) creino le condizioni affinché la forza interiore del malato possa pienamente svilupparsi, sapendo parlare ed ascoltare (comunicando), dando e ricevendo affetto, attenuando il più possibile l'impatto delle sofferenze fisiche, riducendo l'isolamento sociale che tende a crearsi nei confronti del malato di cancro.

A scopo di cronaca e per delineare alcune fasi della vita di Claudia verranno citate problematiche scientifiche, ma senza alcun intento di fornire in merito informazioni specifiche, che possono essere reperite nella letteratura specializzata.

Altra premessa fondamentale è che, come noto, esistono numerosissimi diversi tipi di cancro (oltre 200), ognuno dei quali si può manifestare in forma più o meno grave e risolversi, positivamente o negativamente, in tempi notevolmente diversi.

Nella sezione seguente sono riassunte le fasi della malattia di Claudia, per porre in evidenza che si trattava di una patologia particolarmente rara e seria, con un decorso non breve, interventi chirurgici e terapie assai pesanti. Naturalmente, ciò ha implicato determinate situazioni ed esperienze, che in parte possono essere molto specifiche per il particolare caso.

Indice

2. La malattia di Claudia

La malattia di Claudia si manifestò nel dicembre del 1998.

Si trattava di un rabdomiosarcoma alveolare, una patologia rara e molto seria, soprattutto negli adulti e quando fu riscontrata si trovava già allo stadio IVB. Infatti, era presente una localizzazione al gluteo destro con metastasi ad un linfonodo in diversa area.

Nel marzo del 1999 Claudia subì un intervento chirurgico, al quale seguirono cicli di chemioterapia e radioterapia. Ci fu una completa remissione, almeno a livello strumentale, che si protrasse per quasi due anni.

Nel febbraio del 2001 si manifestò una recidiva e Claudia fu di nuovo operata e sottoposta a brachiterapia.

Nel giugno 2001 apparve un’altra recidiva, difficilmente trattabile a livello chirurgico, perciò Claudia affrontò ulteriori cicli di chemioterapia che apparentemente ebbero un buon esito.

Tuttavia, in conformità a concordi indicazioni dei medici, per consolidare i risultati ottenuti, si decise di sottoporre Claudia a chemioterapia ad alte dosi con autotrapianto di cellule staminali.

Però già nell’ottobre del 2001 la malattia aveva aggredito di nuovo e la situazione si era aggravata a dicembre. Dopo il primo ciclo di chemioterapia ad alte dosi c’era stato un miglioramento, ed un altro miglioramento ci fu con il secondo ciclo.

Nel marzo 2002 la situazione divenne tale da non lasciare più speranze ed alla fine del mese Claudia tornò a casa, affidata ad un'associazione per l'assistenza domiciliare ai malati terminali di cancro.

Alle 4 del 2 maggio 2002 Claudia entrò in coma e alle 13 morì, nel suo letto di casa.

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3. La difficoltà delle decisioni

Possono esistere importanti alternative per quanto riguarda interventi chirurgici, i tempi, le terapie, i centri ed i medici ai quali rivolgersi ed altro. Nel caso di una forma rara di tumore ciò può essere particolarmente vero. Si aggiunga che spesso si ricevono suggerimenti contrastanti (a volte superficiali ed emotivi) da medici specialisti o non specialisti, conoscenti che hanno vissuto direttamente o indirettamente l'esperienza di un tumore, ed altri.

La rarità della patologia di Claudia, soprattutto negli adulti, e quindi la difficoltà di reperire informazioni e statistiche approfondite, erano tali da aumentare le incertezze.

Comunque, se può essere opportuno sentire più opinioni prima di compiere scelte importanti, si deve pur decidere, e spesso in tempi brevi. Bisogna poi affidarsi con fiducia ai medici curanti, seppure in modo vigile e senza escludere cambiamenti da ponderare razionalmente.

È molto stressante e deleterio essere sempre in dubbio sulle scelte fatte e da fare ed angosciare in tal modo il malato.

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4. Assistenza ai malati e ai familiari

I pazienti ed i loro familiari hanno un gran bisogno d’assistenza qualificata, per gli aspetti connessi alla malattia, alle terapie, ed a problemi secondari (ad esempio, reperimento di alloggi, provvidenze nazionali e locali a favore dei malati e dei loro congiunti – quali riconoscimento di invalidità e di relativi benefici -, agevoli mezzi di trasporto), che però possono essere assai importanti e creare angosce deleterie. Al riguardo, un ruolo di rilievo possono giocarlo assistenti sociali con conoscenze specifiche e volontari capaci e discreti, ai quali è opportuno affidarsi al più presto.

In relazione a ciò, ed in modo particolare per quanto riguarda l'assistenza psicologica, è fondamentale agire d'intesa con il malato, specialmente se quest'ultimo ha, come Claudia, un approccio attivo. Comprendere la psiche di un malato di cancro è particolarmente difficile pure per psicologi esperti.

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5. L'informazione al malato ed ai suoi parenti

Anche tra i medici in generale e gli oncologi in particolare è tuttora diffuso l'approccio di non informare il paziente e almeno alcuni dei suoi familiari (probabilmente ritenuti psicologicamente fragili) delle reali condizioni, tacendo o dicendo mezze verità. Probabilmente in certi casi questa scelta è opportuna, ma se l'approccio è generale e indiscriminato, oltre a non rispettare il diritto d’informazione e la personalità altrui, si corre il rischio di impedire lo sviluppo di nuove motivazioni di fronte agli inevitabili cambiamenti esistenziali che la malattia comporta, anche a detrimento della reattività del paziente.

Nel caso di Claudia, l'essere stata sempre informata, sostanzialmente in modo completo (sia pure presentandole a volte la situazione in modo ottimistico) e l'averne parlato apertamente con gli amici, che sono stati all'altezza del loro ruolo, ha attivato il suo coraggio, l'ha stimolata alla ricerca di valori, ha impedito - nell'ambito per lei fondamentale dell'amicizia - il sorgere di barriere d’isolamento, la resa mentale e quindi la disperazione. Il conoscere la verità è stata la base indispensabile per affrontare il decorso della patologia vivendo in modo positivo.

Anche per quanto riguarda l'informazione l'atteggiamento di Claudia era attivo. Poneva domande ai medici, e se quanto le veniva detto non le sembrava chiaro chiedeva delucidazioni.

Se a Claudia fosse stata taciuta la verità e lei l'avesse scoperto ci sarebbero state probabilmente conseguenze assai negative, quali la perdita di fiducia nei familiari e nei medici.

Certo, non tutti i malati hanno la forza e la razionalità di Claudia e quindi non è escluso che in molti casi sia opportuno un certo riserbo.

Quando si informa il malato sulla gravità delle sue condizioni bisogna farlo trasmettendo serenità, coraggio ed affetto, cercando di infondere nuovi stimoli e non la pura rassegnazione. In questo modo il sistema PNEI (psiconeuroendocrinoimmunitario) del malato potrà continuare a lottare validamente.

Claudia, durante tutti gli anni della malattia, della cui gravità era consapevole, ha sempre cercato, con successo, di vivere pienamente, per quanto le sue condizioni fisiche glielo consentivano, innamorandosi di Leandro, praticando sport (in particolare lo sci, passione che condivideva con Leandro), divertendosi, viaggiando, lavorando, studiando, affrontando e superando l'esame per l'abilitazione alla professione di avvocato, incontrando gli amici ed il suo fidanzato.

Ciò è accaduto fino alla morte, anche nell'ultimo mese di vita, quando sapeva che non c'era più niente da fare. Probabilmente, Claudia e chi le era vicino avrebbero vissuto peggio se non fossero stati informati della reale situazione.

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6. Problemi di lavoro, economici e di altri tipi

Il malato di cancro ha generalmente un grande bisogno di avere costantemente vicini i familiari ed altre persone care.

Naturalmente, ciò si scontra con altre esigenze pratiche ed è necessario fare delle rinunce e adottare difficili compromessi.

Accade di dovere trascurare il lavoro, o di doverlo abbandonare almeno temporaneamente, di non potere essere sufficientemente vicini ad altri familiari, di diradare la frequentazione di amici e conoscenti.

Ovviamente, se il malato viene ricoverato per lungo tempo in luogo lontano dall'abilitazione le difficoltà, comprese quelle di natura psicologica, si accrescono.

Anche qualora le cure sanitarie siano gratuite gli oneri da affrontare possono essere rilevanti (spese di viaggio, vitto, alloggio, mancati guadagni).

A volte, ad esempio in caso di urgenza e di mancata disponibilità a breve di strutture sanitarie pubbliche, si presenta la necessità di ricorrere a strutture private. I costi sono normalmente assai elevati. In mancanza di buone risorse finanziarie e di ampia copertura previdenziale/assicurativa si può andare incontro a serie difficoltà.

Non è facile, ma il peso di questi problemi deve ricadere il meno possibile sul malato, che ha bisogno di serenità.

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7. Alcuni possibili effetti delle terapie

Un possibile effetto collaterale della chemioterapia o della radioterapia utilizzate per la cura di un tumore è l'alopecia, ovvero la totale o parziale perdita dei capelli. Non tutti i farmaci antineoplastici causano alopecia.

L'alopecia dovuta alla chemioterapia è transitoria.

Quando seppe che avrebbe dovuto sottoporsi a chemioterapia, Claudia era angosciata (lei aveva bellissimi capelli castani che, sottoposti al sole, tendevano al dorato, e teneva molto al proprio aspetto fisico). Tuttavia, con il suo consueto approccio positivo si diede ad un'accurata ricerca di parrucche, con attenzione sia alla qualità che al prezzo (il costo di una parrucca può essere elevato e Claudia riscontrò notevoli differenze di prezzo a pari qualità).

In seguito, Claudia non dette molto peso all'alopecia.

Altri effetti della chemioterapia sofferti da Claudia: nausea, vomito, dolori nella bocca e nella gola, secchezza nelle fauci, senso di affaticamento, anemia.

Soprattutto durante e dopo la chemioterapia ad alte dosi con autotrapianto di cellule staminali, Claudia aveva - ma la cosa era prevista - valori molto bassi in relazione a globuli bianchi, rossi, emoglobina, piastrine.

Malgrado i vari farmaci antiematici somministrati, per Claudia furono particolarmente pesanti, tra gli effetti collaterali della chemioterapia, la nausea ed il vomito. Tra l'altro, Claudia era una buongustaia (anche se non amava determinati alimenti, quali i formaggi) e spesso insisteva, pur essendo consapevole dell'elevato rischio di vomito, per mangiare i cibi da lei prediletti, anche andando in ristoranti di buon livello.

Tra i vari danni che la chemioterapia e la radioterapia possono causare c'è anche la sterilità, temporanea o permanente. In caso di rischi in tal senso, e naturalmente in dipendenza dell'età, questo problema dovrebbe venire approfondito al più presto, prima dell'inizio delle terapie, anche per valutare -ad esempio-, per un paziente di sesso maschile il ricorso al prelievo e congelazione di campioni di sperma per un'eventuale futura inseminazione artificiale e per un paziente di sesso femminile la criopreservazione di ovociti.

Il coraggio e la forza di reazione di Claudia furono straordinari, ma, come esperienza vissuta nei vari ospedali dove Claudia è stata ricoverata, si videro molti altri pazienti reagire con forza, dignità, ed a volte con atteggiamento di sfida. A chi scrive vengono in mente, tra l'altro: una donna sui trenta anni, molto curata nell'aspetto, che quasi ostentava una gamba amputata sopra il ginocchio a seguito di un intervento chirurgico e l'alopecia, ma che dall'atteggiamento sembrava voler affermare: sento di essere ancora una donna, una bella donna con tanti valori (ebbene, lo era); una bambina sui dodici anni, con una gamba seriamente danneggiata da un intervento chirurgico, che aveva praticato molto sport, e che manifestava sempre una serenità straordinaria ed il desiderio di continuare nell'attività sportiva; una bambina sugli undici anni, bella ed intelligente, anche lei con pesanti esiti di intervento chirurgico su una gamba, che assieme all'innocenza propria della sua età manifestava una serena consapevolezza e maturità da ventenne; una ragazza campana, verso la quale Claudia sentiva una forte amicizia, che aveva uno spirito volitivo simile a quello di Claudia; altri pazienti di varie età che affrontavano le terapie e le sofferenze con apparente tranquillità, senza mai lamentarsi, e manifestando interessi al di fuori della malattia.

Insomma: nei reparti dove si cura il cancro si incontrano persone ammirevoli, che possono dare importanti insegnamenti.

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8. Terapie antidolore

Chi scrive, forse vittima di vecchi pregiudizi, riteneva che fosse opportuno combattere il dolore fisico che il cancro può provocare sopportandolo soprattutto con la forza di carattere. L’esperienza di Claudia e l’unanime parere dei medici che l’hanno curata dimostrano l’erroneità della generica diffidenza sulle terapie antidolore.

Indubbiamente, la morfina ed altri farmaci possono comportare assuefazione e pesanti effetti collaterali e dunque vanno somministrati con professionalità e cautela. Ma fare soffrire il malato in base a pregiudizi è un atto d’ignoranza e d'incapacità di comprensione delle sofferenze altrui e può anche compromettere la forza di volontà e le difese naturali del malato.

Se indubbiamente le terapie antidolore sono assai importanti, è anche vero che esse richiedono preparazione specifica e sorveglianza continua. Infatti, si può presentare la necessità di modificarle in base alla situazione, al sorgere di controindicazioni, al diminuire della loro efficacia. Dunque, anche sotto questo aspetto è fondamentale avere l'assistenza di specialisti.

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9. I rapporti personali

Nei confronti del malato di cancro tende a crearsi una situazione d’isolamento sociale e in ogni modo la malattia causa notevoli cambiamenti esistenziali. I rapporti personali tra il malato, i suoi familiari e gli amici subiscono modifiche. Queste possono essere negative ma anche assai positive.

Il malato resta sempre in primo luogo una persona, ma la personalità può essere notevolmente diversa da quella di prima dell'insorgere della malattia. Affinché i mutamenti siano positivi è fondamentale che il malato non si chiuda in sé stesso e nella disperazione.

La malattia può creare una situazione molto favorevole affinché determinati rapporti personali divengano più profondi e rapporti che presentavano problemi di scarsa comunicazione e d’incomprensione si aprano improvvisamente e profondamente. In senso positivo, questa è stata certamente una caratteristica nella malattia di Claudia. I sentimenti verso quasi tutti gli amici si sono approfonditi e nell'ambito familiare, con la madre, il padre e la sorella, è avvenuto lo stesso.

In modo particolarmente intenso nell'ultimo mese prima della morte la comunicativa e l'affetto tra chi scrive, il padre, e Claudia hanno potuto manifestarsi pienamente, superando incomprensioni e chiusure che prima li ostacolavano. Ciò conservando almeno in parte precedenti aspetti caratteriali e senza eliminare divergenze d’opinione che però hanno assunto un aspetto diverso, di solito costruttivo.

Nell'essere vicini al malato ogni persona cara deve avere un approccio naturale, consono alla propria personalità. La sincerità e la spontaneità sono fondamentali. Sui temi generali è importante che l'atteggiamento sia uniforme, ma su temi specifici non debbono esserci forzature.

Del resto, era la stessa Claudia ad indirizzare i discorsi a seconda dell'interlocutore, sapendo cosa era più facile per lei dare e ricevere.

Durante la malattia i rapporti di Claudia con la madre ed il padre erano a volte complementari, proprio per via della diversità di carattere e sensibilità. Così, tra l'altro, Claudia amava discutere con la madre, traendone molto beneficio, su vari argomenti che magari il padre riteneva futili, ma che invece per Claudia erano importanti. Cosa analoga avvenne tra Claudia e la sorella.

Durante la malattia la difficoltà di comunicazione con alcune persone può accentuarsi, per difetto di comprensione e perché il malato stesso tende ad allontanarsi da situazioni che, anziché aiutarlo, possono accrescere i suoi problemi.

Cosa analoga può accadere tra i familiari del malato ed i loro amici.

Ad esempio, mentre la capacità di socializzare di Claudia era in genere aumentata, in alcuni casi lei era molto chiusa.

Con gli amici di vecchia data e quelli più recenti ed altre persone che l'hanno assistita durante la malattia i rapporti erano aperti e costruttivi. Durante l'ultimo mese di vita molti amici venivano a trovarla quasi tutti i pomeriggi e lei ne trovava grande giovamento. Claudia era diventata sempre più sensibile verso le cose importanti della vita, pur conservando la capacità di scherzare e di parlare di cose apparentemente futili.

Era piuttosto riservata nei confronti d’altri pazienti e dei loro familiari, tranne che nei casi in cui riscontrava un approccio volitivo nei confronti della malattia.

Sotto quest'ultimo aspetto è apparso che specialmente i bambini ed i giovani hanno un atteggiamento sereno e positivo di fronte alla patologia, e pochi tendono alla disperazione, alla passiva rassegnazione, ad un continuo lamentarsi.

Su ciò può influire l’atteggiamento di chi frequenta il malato. Mentre spesso si riesce ad essere o almeno apparire sereni e fiduciosi davanti ad un malato giovane ed a comunicare con lui, facendosi sentire vicini spiritualmente, e facilitando rapporti sinceri e spontanei, con gli adulti e gli anziani si presentano maggiori difficoltà, per cui la vicinanza può diventare quasi soltanto fisica o compassionevole e si creano remore e barriere di isolamento, che tendono a diventare insormontabili se non si riesce a stabilire un vero dialogo.

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10. Accanimento diagnostico-terapeutico; eutanasia

Senza avere la presunzione di approfondire questi temi importanti, ma assai difficili, vale la pena rilevare ancora una volta che il periodo finale di Claudia ha offerto a lei ed a chi le era vicino momenti di grande ricchezza spirituale. Ciò è stato possibile per la forza interiore di Claudia ma anche per via dell'efficace assistenza domiciliare ricevuta, per l'affetto e la comprensione che l'hanno circondata. Dunque, l’ultimo mese non è stato solo un periodo di dolore e sofferenza spirituale. Al contrario, è stato forse il periodo nel quale la trasmissione di valori spirituali tra Claudia e chi le era vicino ha raggiunto la massima intensità. Lei era consapevole di ciò e da tale consapevolezza trovava forza e desiderio di lottare fino alla morte.

Alcuni giorni dopo aver appreso che la morte era inevitabile aveva chiesto a chi scrive di aiutarla a morire qualora le sofferenze fisiche e mentali fossero diventate estremamente intense. Invero, durante l’ultimo mese i dolori fisici spesso erano assai forti (le terapie antidolore basate sulla morfina ed altri farmaci non erano risolutive, come Claudia aveva sperato), ma la consapevolezza di quanto lei dava ed era capace di ricevere allontanarono da lei l’ipotesi di una morte come evento liberatorio.

Così, fino all’ultimo lei ha lottato per vivere nel migliore dei modi, anche sotto aspetti apparentemente marginali. Aveva moltissima cura dell’igiene e del decoro fisico, e ci teneva a presentarsi bene agli altri.

S’interessava attivamente, con domande ai medici curanti, ad eventuali nuove misure che potessero aiutarla, senza con questo desiderare un accanimento terapeutico.

Spesso dormiva poco durante la notte e durante il mattino l’effetto della morfina la poneva in uno stato di torpore. Però nel pomeriggio, quando le visite degli amici erano più frequenti, era lucida e serena e godeva conversare sui più svariati argomenti (della malattia e delle sofferenze parlava poco, essenzialmente solo per informare gli amici, non per lamentarsi). Quando erano in programma visite ma si sentiva molto male telefonava chiedendo di non venire.

Ovviamente, non tutti i malati sono in grado di vivere positivamente fino alla morte, per via di diversità delle situazioni della malattia e di caratteristiche personali, ma Claudia ha dimostrato che anche in caso di forti sofferenze e di consapevolezza della morte imminente la vita restante può presentare valori immensi.

In definitiva, senza la presunzione di pronunciarsi sull’eutanasia, è certo che questo è un tema da affrontare con grande cautela, evitando di basarsi superficialmente su ideologie.

Mentre appare d’estrema importanza creare tutte le condizioni affinché il malato terminale viva nel migliore dei modi fino alla morte, chi scrive ritiene che l’accanimento diagnostico-terapeutico (che Claudia non ha subito) possa essere dannoso sotto molti aspetti, ad esempio per quanto riguarda la dignità del malato e di chi gli è vicino, per non dire degli oneri economici che sarebbe meglio destinare a fini di vero progresso scientifico.

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11. Assistenza ai malati terminali

Nel caso di Claudia, l'aver potuto vivere in casa l'ultimo periodo precedente la morte è stato di grande importanza, come già esposto. Difficilmente Claudia avrebbe avuto e donato ad altri momenti così belli e profondi se fosse stata lontana da casa, dagli amici, in un letto di un ospedale, per quanto efficiente sotto tutti gli aspetti.

Dunque, per Claudia e coloro che le erano vicini l'assistenza domiciliare è stata di grandissimo beneficio.

Pertanto, appare molto importante che la possibilità di avere un’efficace assistenza domiciliare diventi sempre più concreta e capillare.

Un aspetto importante di questa assistenza è che i congiunti del malato vengono messi in grado, dopo adeguate istruzioni, di collaborare attivamente con i medici e gli infermieri nella somministrazione di farmaci per via orale, iniezioni, flebo e in altre incombenze alle quali in ospedale provvedono il personale paramedico ed altro personale. Naturalmente, in relazione alla somministrazione di farmaci, ciò avviene in base alle prescrizioni dei medici. Lo svolgimento di questi compiti da parte dei familiari è di beneficio pratico e psicologico.

A proposito dell'assistenza domiciliare e della collaborazione dei congiunti è interessante, ed anche divertente, un episodio avvenuto il penultimo giorno di vita di Claudia.

Nell'ultimo periodo era stato necessario aumentare notevolmente il dosaggio della morfina, visto che Claudia dichiarava un continuo aumento dei dolori, soprattutto in area dorsale. Ovviamente, ciò causava maggiori effetti collaterali negativi, pesanti anche perché il fegato di Claudia era ormai in condizioni disastrose. Il medico responsabile dell'assistenza domiciliare fece l'ipotesi che le crescenti richieste di Claudia per la somministrazione di morfina (che lei temeva per via delle nausee e del vomito da essa indotte) potessero essere dovute in parte a ragioni psicologiche e suggerì di provare ad omettere una delle somministrazioni, sostituendola con un placebo. Una prima volta, di pomeriggio, l'espediente apparentemente funzionò. Però, nella notte del giorno seguente, un'ora dopo la somministrazione di un altro placebo, Claudia diceva di sentire dolori fortissimi e pertanto la madre le somministrò morfina. Dopo meno di un'ora Claudia lamentava ancora forti dolori e pertanto (erano circa le 3 del mattino) la madre di Claudia telefonò al medico chiedendo se poteva somministrare di nuovo la morfina. La risposta del medico fu negativa, non essendo trascorso sufficiente tempo dall'ultima dose. Però Claudia immediatamente capì che c'era un'incongruenza facendo presente che tra le due ultime somministrazioni (una delle quali era di un placebo, ma questo lei non lo sapeva) era trascorso un tempo altrettanto breve. Insomma, anche in quel momento lei dimostrò lucidità.

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12. Terapie non riconosciute dalla scienza medica ufficiale

Dal momento in cui viene data la diagnosi “cancro”, che terrorizza molti, è probabile che amici e conoscenti, in perfetta buona fede, ma per lo più in base a motivazioni emotive ed irrazionali, suggeriscano terapie non riconosciute dalla scienza medica ufficiale. Ciò accade, quasi inevitabilmente, allorché in base a quest'ultima viene affermato che non c’è più la possibilità di applicare altre terapie consolidate a livello scientifico internazionale.

Le strutture sanitarie serie possono allora proporre, ma senza indurre in illusioni, terapie in sperimentazione per lo specifico tipo di tumore, o per tipi in qualche modo affini. Questa eventualità non sembra da sottovalutare, anche allo scopo di contribuire al progresso scientifico.

Esistono anche terapie la cui applicabilità ed efficacia, seppure in ambito limitato, è riconosciuta o per lo meno giudicata promettente dalla scienza medica. Ad esempio, questo è il caso della somministrazione di marijuana (Cannabis), ammessa in alcuni paesi, ma non in Italia, come alternativa almeno parziale a farmaci antiemetici che nel caso di Claudia spesso non davano risultati sufficienti. Diversi medici incontrati durante la malattia si dichiararono in linea di massima favorevoli o per lo meno non ostili alla marijuana come antiemetico, ma - ovviamente, per vari motivi - nell'impossibilità di somministrarla e di dare indicazioni sui dosaggi.

Diverso, come già accennato, è il discorso su terapie che non sembrano avere un complessivo fondamento scientifico, ma che spesso trovano terreno fertile nella disperazione e nell’ignoranza, e sono oggetto di speculazioni di vario tipo.

Può anche essere che la proposta ed eventualmente il ricorso a tali terapie abbiano un effetto benefico su alcuni malati, almeno a livello psicologico. Ma per altri le conseguenze possono essere deleterie cancellando od almeno attenuando l’approccio positivo e razionale verso la malattia ed impedendo o ritardando l'impiego di terapie più valide.

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13. Altre informazioni

Claudia ha sempre affrontato la malattia con spirito positivo e dignità, come già detto, e confidando nella scienza medica.

Le ceneri di Claudia si trovano nel Cimitero Comunale di Pianoro Vecchio (BO), Ossarietto Settore F, Fila 5, Posto 85.

(Settembre 2002)

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